I migranti invisibili nelle città-ragnatela
di Giovanni Baglio e Antonio Fortino
Il fenomeno dei profughi che sbarcano sulle coste italiane, attraversando poi le aree metropolitane diretti all’estero, richiama alla mente la città-ragnatela di Calvino: “C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle… Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno”.
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Le cifre parlano chiaro. E raccontano che durante il 2014 sono partite dalle coste della Libia decine di migliaia di persone, in fuga da gravi situazioni di guerra e miseria: ne sono arrivati 170 mila, secondo le stime della Croce Rossa, in prevalenza siriani, eritrei, somali e maliani; almeno 3.500 hanno perso la vita nella traversata del Mediterraneo.
A fronte di tale afflusso, nello stesso anno sono state presentate in Italia circa 63 mila richieste di protezione internazionale. La semplice differenza numerica rende evidente la consistenza del fenomeno dei transitanti: circa 100.000 uomini, donne e minori, una volta arrivati in Italia, hanno voluto rendersi invisibili, per non restare intrappolati nella condizione di “dublinanti” ed evitare quindi il rimpatrio nel primo Paese di area Schengen in cui è avvenuta l’identificazione. Roma e Milano hanno rappresentato il principale crocevia dei transiti, offrendosi come scenario per questo inedito naufragio metropolitano: città-ragnatela, sospese nel vuoto, in bilico tra lontane terre di esodo e altrettanto lontani punti d’approdo in Paesi del Nord Europa.
Questi passaggi avvengono prevalentemente in modo carsico e inafferrabile, ma a tratti riemergono all’interno di insediamenti spontanei o edifici spesso in stato di abbandono, dove già da anni vivono gli altri immigrati, quelli cosiddetti “stanziali”, la cui perdurante precarietà di vita testimonia nei fatti l’incapacità del nostro Paese di offrire prospettive concrete di integrazione. (...)
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